Dissesto idrogeologico – Cosa si è fatto in regione per mitigare i rischi?

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Il 100% dei comuni molisani sono in pericolo. Quanti di questi hanno attivato misure di mitigazione del rischio? C’è bisogno di più attenzione alla prevenzione e politiche di adattamento alla sfida dei cambiamenti climatici.

La drammatica sequenza di emergenze che hanno colpito parte del nostro Paese negli ultimi giorni e che hanno comportato lutti e danni ingentissimi, è la testimonianza della condizione di particolare fragilità del nostro territorio.
Considerando il periodo che va dal 2010 al 2016 sono oltre 145 le persone morte a causa di inondazioni e oltre 40mila quelle evacuate (dati Cnr), con eventi che si sono verificati in tutte le Regioni italiane, nella quasi totalità delle province (97 quelle coinvolte) e in 625 Comuni italiani.
Negli ultimi anni sono stati spesi circa 800 mila euro al giorno per riparare i danni e meno di un terzo di questa cifra per prevenirli. Serve invece un’efficace attività di prevenzione, non più esclusivamente mirata alla realizzazione di interventi e opere puntuali di messa in sicurezza, o almeno non solo, ma che preveda un approccio complessivo e sappia tenere insieme le politiche urbanistiche. Una diversa pianificazione dell’uso del suolo, una crescente attenzione alla conoscenza e alle mappature delle zone a rischio, la realizzazione di interventi non puntuali ma pianificati su scala di bacino, l’organizzazione dei sistemi locali di protezione civile e la crescita di consapevolezza da parte dei cittadini. Un elemento questo particolarmente importante per far sì che le persone coinvolte in un evento calamitoso non si espongano ad ulteriori rischi, ma anche per far crescere la generale conoscenza su questi temi assolutamente necessaria in un paese che, come il nostro, è esposto a rischi di diversa natura. La redazione dei piani di emergenza di protezione civile, per i quali la legge 100 del 2012 aveva fissato una scadenza temporale definita, il loro costante aggiornamento e la fondamentale relazione tra la pianificazione urbanistica e i piani d’emergenza, oltre che la realizzazione di attività d’informazione e di esercitazioni, sono elementi imprescindibili per una efficace azione di prevenzione e mitigazione del rischio.
La prevenzione deve divenire la priorità per il nostro Paese, tanto più in un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto, che comportano fenomeni meteorologici estremi caratterizzati da piogge intense concentrate in periodi di tempo sempre più brevi e in cui la gestione irrazionale del territorio porta a conseguenze disastrose, come dimostrano gli eventi atmosferici che nella giornata di ieri hanno sconvolto la città di Livorno.” – dichiarano da Legambiente Molise – “In altre parole all’accrescimento della pericolosità, intesa come probabilità del verificarsi del fenomeno, si unisce una maggiore vulnerabilità, intesa come fragilità del territorio, con il conseguente aumento del rischio.
L’indagine di Legambiente “Ecosistema Rischio” raccoglie ed elabora dati di carattere generale sull’esposizione al rischio frane e al rischio idraulico nei comuni italiani, e allo stesso tempo monitora nel dettaglio le attività volte alla mitigazione del rischio da parte delle amministrazioni comunali, nel cui territorio sono presenti aree esposte a pericolo di frane, esondazioni e allagamenti. Nel corso di oltre un decennio, da quando cioè è stata realizzata la prima edizione dell’indagine, la mappatura delle aree soggette a rischio idraulico e idrogeologico è stata sempre meglio definita, tranne che in Molise. Al fine di recuperare i dati elaborati, è stato inviato ad ogni Comune della penisola un questionario, con la nostra regione fanalino di coda per test compilati. Basti pensare che hanno risposto solo 11 amministrazioni su 136, in pratica il 9% dei comuni di una regione che ha il 100% dei comuni con aree esposte a pericolo ed il 100% del suo territorio sottoposto a rischio idraulico o frana (fonte Ispra). La mancanza di riscontro ai questionari è la causa per cui il Molise è l’unica regione per la quale non è stato possibile tracciare un’esauriente elaborazione statistica. “Pertanto, chiediamo ai Comuni molisani di rispondere al questionario del nuovo anno affinché, nel prossimo rapporto Ecosistema rischio in uscita a fine anno, si possa tracciare un quadro completo anche della nostra regione che, tra l’altro, vede il 71,3% dei suoi comuni sottoposti sia a rischio frane che pericolosità idrauliche.” – continuano da Legambiente Molise – “Come dimostrano le frane che da anni colpiscono le comunità di Petacciato e di Civitacampomarano e che hanno causato danni ingenti alle abitazioni ed alle infrastutture. Questa indagine, per noi molto importante, è utile per predisporre le necessarie misure di tutela. Così come prevede il D.Lgs. 49/2010 la predisposizione di mappature della pericolosità e del rischio alluvioni sono alla base della definizione dei Piani gestione, gli strumenti indispensabili alla pianificazione dell’uso del suolo e della gestione delle acque, alla predisposizione di vincoli e prescrizioni nelle aree soggette a pericolo. L’adeguamento e l’aggiornamento delle mappature della pericolosità e del rischio è strumento essenziale anche alla predisposizione di ogni misura di prevenzione.
Non si conosce ad esempio il numero dei comuni che si sono dotati dei piani di emergenza di protezione civile. La frana di Civitacampomarano è parte integrante di una fascia appenninica (che inizia da Campobasso per arrivare a Larino) ricca di arenarie ed argilla, che sono causa del continuo movimento franoso della terra. Quanti sono i comuni dell’area che sanno come poter affrontare un’eventuale emergenza?
Una delle principali azioni per rendere sicuro il territorio (anche attraverso la realizzazione di interventi di rinaturalizzazione delle aree di esondazione naturale dei corsi d’acqua volti alla mitigazione del rischio) riguarda la delocalizzazione delle strutture presenti nelle aree esposte a maggiore pericolo e gli abbattimenti dei fabbricati abusivi. Partendo dal dato di fatto che non tutto può e deve essere protetto da arginature, per correggere gli errori urbanistici del passato è necessario abbattere e spostare dove possibile ciò che non si può difendere dalle alluvioni e dalle frane. Un’azione tanto utile quanto poco praticata nel nostro Paese.
Come ulteriore elemento di riflessione non si può non considerare il fatto che siano proprio le città a rappresentare il cuore della sfida per l’adattamento ai cambiamenti climatici e agli affetti che essi comportano. Infatti, è proprio nelle aree urbane che si produce la quota più rilevante di emissioni ed è qui che l’intensità e frequenza di fenomeni meteorologici estremi sta determinando danni crescenti, mettendo in pericolo vite umane e determinando danni a edifici e infrastrutture. L’andamento delle piogge, gli episodi di trombe d’aria e ondate di calore hanno oramai assunto caratteri che solo in parte conoscevamo e che andranno, inesorabilmente, ad aumentare. A fronte di questa situazione è necessario, per ottenere risultati realmente efficaci, puntare sulla prevenzione e sula mitigazione del rischio idrogeologico, oltre all’impegno da parte delle amministrazioni comunali sugli aspetti di loro stretta competenza. È necessario, infine, anche dar vita ad una filiera virtuosa a cui contribuiscano soggetti ed enti diversi dallo Stato centrale, dagli enti locali, alle Autorità di Bacino, ciascuno con il proprio ruolo e le proprie prerogative.

 

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